Cari tutti,
sta circolando in queste ore la bozza del nuovo Statuto del 1 giugno 2011. La bozza è in una fase di redazione avanzata, e contiene ormai la maggior parte degli elementi salienti, fatta salva la parte del post-laurea che non abbiamo ancora affrontato se non marginalmente.
Vi invitiamo a leggere attentamente tutto il testo che, per quanto lungo, sarà la costituzione del nostro ateneo alla quale dovremo attenerci nei prossimi anni. E’ importante quindi conoscerla, identificarne le criticità quando si è ancora in tempo per modificarne gli aspetti che non vanno, al fine di ottenere che l’adozione da parte del SA possa rappresentare un’adozione da parte dell’Ateneo. I tempi sono purtroppo stretti, ma cerchiamo di fare il massimo con quello che abbiamo a disposizione.
In questo post non vogliamo addentrarci nei dettagli del testo, discussione che preferiremmo nascesse da un confronto con tutti voi anche su questa pagina per permetterne un’ampia condivisione. Vorremmo invece focalizzare la vostra attenzione su alcuni punti significativi che restano critici, tanto da non trovare accordo in commissione, e che a nostro avviso vanno modificati.
Il primo punto riguarda la composizione del Senato Accademico. Nella versione della colonna di sinistra il SA è previsto con una composizione che prevede un pari numero di direttori di dipartimento e di presidenti di corso di studio. Sono previsti poi tre eletti tra i professori di I e II fascia, 1 coordinatore di dottorato, due ricercatori (da eleggere tra quelli a tempo indeterminato e quelli a tempo determinato) più le rappresentanze di studenti e personale TA.
Questa composizione presenta diversi punti deboli. Prima di tutto, si presta ad una critica di fondo in quanto, se anche è forse possibile dire che non è strettamente “contra legem“, sicuramente non ne rispetta l’impostazione, prestando quindi il fianco ad una bocciatura su questo punto. La criticità è infatti la presenza dei coordinatori di corso di studio. La legge vieta il cumulo di cariche accademiche fatta eccezione per i direttori di dipartimento e solo limitatamente al SA. Inserire i coordinatori va quindi contro questa impostazione. Inoltre, è chiaro che la legge vuole che le università si ristrutturino in modo da assegnare ai dipartimenti tutte le competenze di ricerca e didattica. Appare quindi fuori luogo forzare una rappresentanza della didattica esterna ai dipartimenti.
Una seconda criticità nasce dall’avere nuovamente persone che hanno l’incarico di difendere la ricerca (perché l’inserimento dei coordinatori forza la posizione dei direttori in questo senso) e altre invece la didattica, con solo tre persone fra tutti i componenti docenti del SA che avrebbero un mandato generale. E’ ovvio anche che con soli tre eletti sull’ateneo i giochi sotterranei possono facilmente avere il sopravvento. Il SA sarebbe quindi nuovamente un organo diviso per interessi diversi senza diventare quell’organo unitario che la legge (e l’efficacia di decisione) invece vorrebbero. Certamente il buon funzionamento dell’organo dipende molto dai singoli che lo comporranno, ma una strutturazione inefficace non aiuta certo a risolvere i problemi. Non è da sottovalutare quindi il fatto che l’eccessivo spezzettamento non può portare il Senato ad essere quell’organo forte in grado di confrontarsi dialetticamente con il Rettore e con gli organi non elettivi indispensabile al buon funzionamento del nostro ateneo.
Vi invitiamo a considerare come opzione più valida la proposta alternativa, che oltre ad essere decisamente più inclusiva nelle rappresentanze, genera una componente docente numericamente forte e indipendente da vincoli di funzione, davvero capace di dare quell’indirizzo politico e propositivo che lo statuto attribuisce al SA. E’ anche chiaro che eleggere 10 persone con circa 1000 votanti è un sistema che garantisce automaticamente la presenza delle diverse anime culturali dell’ateneo, rendendo minoriotario il rischio di eventuali lobbying, rischio che rimane elevato con l’elezione di soli tre componenti.
Un altro punto fortemente criticabile è la rappresentanza dei ricercatori con caratteristiche che le attribuirebbero un ruolo di rappresentanza di categoria, per di più accomunato a un’altra categoria con un ruolo ben diverso da quello degli attuali ricercatori. I ricercatori attuali forniscono nell’ateneo una percentuale di didattica oltre il 30% e costituiscono circa il 50% del corpo docente del nostro ateneo. Questo relegarli ad una presenza così misera nonostante il fattivo, indispensabie e percentualmente pesantissimo lavoro svolto è un atteggiamento punitivo completamente ingiustificato. Appoggiare una scelta come questa vuol dire arretrare rispetto allo statuto attuale, mentre le altre università vanno avanti, mortificare una componente viva ed essenziale dell’ateneo senza alcun motivo ragionevole mettendo metà del corpo docente in una condizione tale da sentirsi completamente demotivata per l’essere stata estromessa dagli organi decisionali. Nella proposta alternativa, la componente docente verrebbe eletta senza vincolo di fascia, una scelta che avrebbe l’ulteriore vantaggio di essere naturalmente adattabile all’evoluzione della numerosità delle varie componenti e di permettere l’individuazione di persone che abbiano un sostegno ampio nell’ateneo per la propria autorevolezza e non per la propria appartenenza di categoria.
Un altro nodo da sciogliere non banale riguarda le competenze nell’ambito delle chiamate. Chiaramente, lo spirito della legge è che i dipartimenti, forti del fatto di avere una competenza diretta in didattica e ricerca, possono proporre delle chiamate a ragion veduta che tengano davvero conto delle esigenze della didattica e della ricerca. Invece, nella bozza attuale, le facoltà (che non a caso mantengono il vecchio nome) continuerebbero ad esprimere parere anche sulle richieste dei dipartimenti, creando una struttura che risulterebbe essere perfino più complessa di quella attuale per il raggiungimento della decisione finale.
Un’aggravante dell’impostazione attuale da questo punto di vista è il fatto che, non essendo prevista una reale programmazione pluriennale di lungo respiro, l’ateneo, e quindi il SA, sarà nell’impossibilità di fare scelte oculate che tengano conto delle esigenze della didattica e della ricerca per le chiamate. Come può infatti essere possibile stabilire la maggiore o minore rilevanza di una richiesta o di un’altra? In assenza di una programmazione di ampio respiro si resterà costretti nelle scelte tappabuchi senza reale possibilità di dare un indirizzo strategico corretto allo sviluppo dell’ateneo.
I nodi da sciogliere sono ancora tanti, il contributo di tutti alla discussione è essenziale. Vi invitiamo tutti quindi a partecipare e a creare occasioni di incontro su questi temi per essere tutti consapevoli delle scelte che ci toccheranno così da vicino.
Cordialmente,
Michele Mascia e Guido Mula